18 Gennaio 2025

IN PRINCIPIO ERA IL CAOS (DAL MIO LIBRO HONESTLY GOOD)

Come molte persone, sono cresciuta sviluppando un gusto personale che nei primi anni della mia vita ha tecnicamente e inconsciamente diviso il cibo in tre grandi settori: ciò che mi piaceva, ciò che non mi piaceva, e ciò che generava indifferenza al mio palato (a pensarci oggi, decisamente la parte peggiore). In questo caos alimentare, […]
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Come molte persone, sono cresciuta sviluppando un gusto personale che nei primi anni della mia vita ha tecnicamente e inconsciamente diviso il cibo in tre grandi settori: ciò che mi piaceva, ciò che non mi piaceva, e ciò che generava indifferenza al mio palato (a pensarci oggi, decisamente la parte peggiore). In questo caos alimentare, che ha regnato in me più o meno per i primi 18 anni della mia vita, sono potuta sopravvivere orientandomi a vista e seguendo l’istinto governato più dallo stomaco che dalla testa. Nessuno a casa mia a quei tempi dava importanza all’aspetto nutrizionale di ciò che finiva nel piatto. C’era il cibo buono e saporito (spesso molto condito o comunque pesante) e quello leggero e sciapo (che veniva servito con la consapevole certezza di proporre qualcosa di meno gustoso, ma più sano). C’erano i piatti per le feste e per ricevere, rigorosamente a base di carne, e una quantità di proteine animali servite quotidianamente il cui ammontare, oggi, sarebbe pari a quello che forse consumo in una settimana. O giù di lì. Ciò nonostante, devo ammetterlo, a parte qualche dettaglio sul quale ora preferirei non soffermarmi, sono cresciuta bene e sono rimasta, più o meno, sempre intorno alla taglia 40, anche quando – durante i giorni della scuola di cucina a Parigi – la quantità di cibo ingerita nella settimana ha superato, per molto tempo, il tetto della umana sopportabilità. Merito di un metabolismo basale alto, del fatto che la parte attiva della mia vita copre diciassette ore al giorno da sempre, e di un mix genetico per il quale essere grata che, almeno per ciò che concerne la parte che si vede fuori, ha sempre salvato l’apparenza. Ma cosa stava succedendo dentro? Ho iniziato a chiedermelo intorno al mio quarantesimo compleanno, in quello spazio di vita che per noi donne segna uno spartiacque profondo. E dal ragionamento che ho fatto, dalle scelte che ho compiuto, è nata una nuova me stessa. Ma procediamo per ordine.

Sono stata un’adolescente goffa e leggermente sovrappeso (sì, proprio così) di quelle che hanno letto il manuale per valorizzarsi all’incontrario. Come molte, intenta a provarsi i jeans guardandosi solo torcendo il collo allo specchio per cercare di capire come mi sarebbero stati dietro. Ho contato le calorie (sì, negli anni ’80 – perché tu no?) e ho seguito regimi alimentari inventati dai giornali del momento per avere l’impressione di prendermi cura di me, in quell’ultima decade prima del nuovo millennio, quando la mia età anagrafica si spostava progressivamente dai venti ai trent’anni. Per fortuna, oggi guardando quegli anni, sorrido e ringrazio il fatto di aver iniziato molto presto a cucinare per me stessa, perché è stato ciò che mi ha permesso di salvarmi. Tuttavia, il percorso con il quale sono riuscita a unire il cibo buono con quello che fa bene non è stato né facile né immediato. Ecco perché ho deciso di condividere quello che ho imparato, negli anni, con tutti coloro che leggeranno questo libro. Per poter evitare a molte donne (e anche a tanti uomini, se me lo consentite) la frustrazione che deriva dall’idea di dover seguire una dieta per essere in forma e, soprattutto, in salute. E per condividere tutto ciò che serve sapere per mangiare in modo #honestlygood: semplicemente buono.

Mangiare bene, per vivere a lungo e sani
Circa 150 anni fa l’aspettativa di vita media per una donna era intorno ai 40 anni. Oggi mentre scrivo sto per compierne 47 e – sinceramente – sono molto grata al progresso e alla medicina, che hanno fatto in modo che io oggi possa ragionevolmente pensare di avere davanti a me uno spazio di vita più o meno pari a quello che ho vissuto sin qui. Il problema, tuttavia, non è risolto perché oggi viviamo più a lungo, ma ci curiamo anche per più tempo, non sempre felici di farlo. La scommessa, dunque, parlando di longevità, non è più legata alla quantità di anni che si accumuleranno sul nostro percorso, bensì alla qualità della vita che ci si prospetta davanti e che per molte persone, purtroppo, è scandita dalla necessità di curare malattie come sovrappeso o obesità, diabete, insufficienza cardiaca o respiratoria, tumore. La medicina moderna può fare molto per curare questi mali – ma noi possiamo fare ancora di più: possiamo evitare di incorrere nel problema. La prevenzione è alla base di uno stile di vita corretto, che ci consenta di invecchiare in modo naturale e in salute, dentro un corpo ancora agile e ben funzionante, con una forma esterna che sia lo specchio della nostra salute interna. Io vorrei davvero vivere così i miei prossimi cinquant’anni, e tu? Se la tua risposta è affermativa, sappi che il modo in cui mangi può fare moltissimo per aiutarti a raggiungere l’obiettivo di una vita sana, piena di sapore e di gusto per quanto attiene alla tavola, e anche eticamente migliore ed economicamente più sostenibile. Come? Riducendo. Quantità, cottura, spreco.

#Honestlygood: scegliere di essere reducetariani
Un paio di anni fa Marie Claire Italia mi intervistò sul tema delle nuove mode in fatto di dieta e, nel dare il mio parere, dichiarai il mio regime flexitarian, ossia composto da giorni alternati in cui mangio tutto: vegetali ma anche animali, seppur con consapevolezza e misura. In Italia, al momento in cui scrivo, circa sei milioni di persone sono “celiache per moda” [fonte: Nielsen, 2017] e molti dichiarano di essere vegani o vegetariani, tranne quando talvolta si trovano davanti a una bella grigliata mista e, per non dare dispiacere ai propri ospiti, accettano di mangiare carne. Non voglio scagliare nessuna pietra, perché non ne avrei certamente il diritto, ma trovo che millantare un regime alimentare tanto per fare conversazione sia sinceramente deplorevole. Molte persone sono davvero colpite da una malattia che impedisce loro di poter mangiare serenamente prodotti che contengono glutine. E tante altre hanno deciso di non mettere più nel proprio piatto prodotti di derivazione animale, convinti della propria scelta etica, che trovo sinceramente ammirevole, pur non classificandola come necessaria.
Personalmente, ho trovato nel movimento dei “reducetarian” fondato in America da Brian Kateman il modo migliore per unire etica, salute, gusto – almeno per quanto mi riguarda. La teoria di Kateman è molto semplice da abbracciare, se lo si desidera davvero, perché non pone il limite di dover fare una scelta estrema che imponga il “tutto o niente”. Si definiscono reducetariani infatti quegli individui che (come me) hanno scelto deliberatamente, e con motivazioni diverse, di ridurre il consumo di carne rossa, pollame, pesce e prodotti animali come uova, latte e derivati. Queste persone spesso scelgono anche di acquistare i propri prodotti fuori dalla grande ruota pubblicitaria dell’industria alimentare, privilegiando il biologico e il biodinamico, evitando di mangiare animali che non hanno avuto la possibilità di vivere un’esistenza dignitosa e che sono stati, invece, imbottiti di farmaci e mais OGM sin dal loro primo giorno di vita. Queste persone riducono anche i tempi di cottura, soprattutto dei vegetali, per preservare al massimo il loro valore nutrizionale. E mangiano in modo coscienzioso, evitando il più possibile ogni forma di spreco: di cibo, di acqua, di confezioni a perdere. Non voglio essere intransigente, tuttavia vorrei che ciascuno dei miei lettori, in questo momento, aprisse gli occhi e ragionasse su questa frase: abbiamo davvero bisogno di mangiare cibo già pronto, confezionato in modo sgargiante, che ci promette più di questo e meno di quello? Direi di no. Io ne sono convinta, e sono l’esempio vivente – almeno sin qui – che si può fare una cucina eccellente nel gusto e nell’estetica, che sia salutare per il corpo e per la mente, che non implichi rinunce impossibili e che ci mantenga sani e in forma.

Se la pensi come me, allora farai tuo il mio credo, coniato nel 2015 quando ho scritto il mio primo libro (Good Food) sul tema. Eccolo qui: Credo in un solo cibo: uno, fresco, stagionale e poco lavorato.

 

Mi auguro che la tua cucina sia presto abitata da un nuovo tipo di cibo: fresco, vibrante di vita, meraviglioso da mangiare ma anche socialmente sostenibile, acquistato in una busta di carta e non sigillato in vari strati di plastica. Straripante di gusto e di proprietà benefiche per il tuo organismo. Sinceramente buono – semplicemente #Honestlygood.

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