Questo è l’ultimo anno prima di entrare negli anni ’20. Mi fa una certa impressione. Nel 2020 io avrò 50 anni, e solo qualche tempo fa mi sembrava una data proiettata semplicemente nel futuro. Invece, adesso, è qui dietro l’angolo. È una data importante per molti versi, il 20-20, ma io oggi voglio limitarmi a una riflessione personale, da condividere con voi (a proposito, sapete che in questo salotto passano circa 150mila persone al mese? Dobbiamo decisamente aumentare il servizio di tazzine da thé!).
Il mio obiettivo per il 2019, sopra ogni altro, è impegnarmi in modo ancora più concreto nell’essere reducetariana a tutto tondo. Quella dei reducetariani, se volete chiamarla moda, sembra essere intelligente, perché punta a una antica virtù: la parsimonia, e riduce la carne senza l’obiettivo di eliminarla del tutto.
“We reduce!” è il motto di questo nuovo movimento alimentare, etico e ambientale, creato da Brian Kateman, ricercatore della Columbia University, già diffuso sul blog Reducetarian.org e nel libro “The reducetarian solution”. L’idea è molto semplice: tanto da aver semplicemente dato un nome a qualcosa che esiste da sempre, o meglio è esistito per secoli, fino al boom economico che ci ha reso “carnivori”.
L’obiettivo è di ridurre il consumo di prodotti di origine animale – non eliminarli del tutto – in un percorso che non porta a nessuna scelta radicale o posizione oltranzista, ma ad un cambio di abitudini che significa prima di tutto salute per tutta la famiglia e per l’ecosistema. Come si comincia: provando un po’ alla volta e non tutto d’un colpo, cercando il proprio equilibrio.
Questo concetto mi sta particolarmente a cuore perché uno dei crucci della mia esistenza riguarda lo spreco. Sì, lo so, adesso molte di voi staranno dicendo “io non butto via mai niente”. Brave. Ben fatto. Ma, ne siete sicure? Intendo dire, siete sicure di non contribuire a vostro modo comunque allo SPRECO, ossia alla dispersione inutile di cibo, oggetti, materiali che semplicemente avrebbero potuto essere impiegati in altro modo, oppure non essere prodotti affatto? Perché io, tempo fa, avrei alzato la mano schierandomi dalla parte dei virtuosi, ma oggi non ne sono più così convinta. Mio malgrado, io spreco. Pur facendo attenzione. Quindi, voglio impegnarmi a ridurre questo spreco, perché se lo facessero tutti, il problema rientrerebbe entro i limiti della gestibilità.
RIDURRE, per me, significa innanzitutto consumare meno. Comperare meno (non sono particolarmente brava, in questo, lo dichiaro: devo proprio stare attenta). Mangiare meno (meno carne, meno pesce, meno formaggi, più verdura, più cereali, più frutta, più semi…) Scartare meno confezioni, pur abitando in città.
Cortesie per gli Ospiti (il programma al quale partecipo come giudice da qualche mese) ha contribuito a rendere nota una battaglia che porto avanti da anni: quella contro la plastica. Chi fa la raccolta differenziata lo sa: anche se la detesti, il bidone della plastica di casa si riempie comunque. Quella che odio di più è ovviamente quella monouso con la quale si creano alcuni oggetti (peraltro bruttissimi) come piatti e posate di plastica, o cannucce. Nella mia casa non entrano. Poi viene quella che contiene l’acqua minerale (anche se a volte le bottiglie sono riciclabili…). Infine, quella degli imballi inutili: il latte, le uova (io compro solo quelle nel cartone, senza plastica) e gli ortaggi (sempre meglio acquistarli sfusi e non messi sopra vassoi di plastica o polistirolo). Facendo un minimo di attenzione, si può ridurre molto il proprio consumo di plastica.
Comperando meno e mangiando meno si ottiene la seconda delle 3 R. RISPARMIARE. Non solo perché la vita è già cara di per sé e mettere da parte qualcosa in più (se ci si riesce) è sempre utile, ma anche come esercizio per evitare lo spreco che facciamo semplicemente per disattenzione. Vedo altre mani alzate… Certo, molte di voi lo fanno già. Ma sicuramente non tutte. Io non voglio mettere un tetto alla mia capacità di rinunciare a quello che non mi serve (anche se, spesso, per arrivarci davvero, devo pensare e considerare due volte).
Quando acquistiamo siamo spesso vittime di sconti (reali o messi lì per attirarci) e di desideri che poi si riveleranno passeggeri. Riflettere prima di comperare è essenziale.
Infine, RICICLARE. Non solo la plastica, ma ogni materiale possibile e – soprattutto – i piccoli avanzi. Riciclare significa dare la possibilità a qualcosa di avere una seconda vita. Una mezza porzione di insalata che diventa la base per quella nuova. Un riso basmati che finisce in una zuppa l’indomani. Verdure cotte in padella o al forno che diventano la base di un curry. Un petto di pollo avanzato domenica, con cui creare una insalata per pranzo. Sono sicura che in questo molte di voi sono davvero brave. E da qui parto per riciclare anche la plastica (che va sempre raccolta a parte e messa nei bidoni gialli o in quelli che il vostro Comune fornisce) ma anche la carta, e il vetro. Moltissimi oggetti, in casa, possono ambire a una seconda vita. E tutto ciò che non desideriamo tenere più, non va semplicemente buttato, ma messo nel posto giusto. Alcune cose che noi non amiamo più, serviranno ad altri. E il meccanismo virtuoso del riciclo ci farà sentire meglio. Ed essere migliori.
Ditemi, siete contente delle vostre 3 R? O potete condividere con me, con noi, in questo salotto, qualche consiglio per arrivare all’obiettivo? Io ne metto alcuni miei, 7 consigli per fare meglio:
- basta acqua nella plastica (solo vetro o depuratore)
- #noplastic in casa (piatti, cannucce & co. se servono usa e getta… sono di carta)
- no alle uova con la plastica nell’imballo
- no al latte, spremute o altro nella plastica
- sì al riflettere e comperare meno. Mi serve davvero? Forse no…
- sì a non buttare, ma ricilare il più possibile il cibo eventualmente avanzato
- sì a risparmiare mangiando meno (fa bene al bilancio familiare, alla linea, al pianeta)