Un articolo apparso di recente su un quotidiano mi ha fatto riflettere: ci stiamo ammalando sempre più per via del ritmo frenetico al quale siamo sottoposti, ma soprattutto per “colpa” dei social media, dei quali non riusciamo a non essere schiavi. Possibile che la grande rivoluzione digitale, così amata e meravigliosa, ci possa far ammalare oggi tanto quanto la rivoluzione industriale fece all’epoca con l’inquinamento delle prime fabbriche? Pare di sì, perché non siamo stati ancora capaci di darci una regola. Un modo per regolamentare l’uso di tutta questa connessione virtuale al mondo, che sta iniziando – per molti – a diventare isolamento ed esclusione dalle conversazioni reali. Avere in mano un telecomando, un telefonino o un tablet ci rende incapaci di concentrare la nostra attenzione sulla persona con cui stiamo parlando. Il multi-tasking, che negli anni ’90 era considerata la frontiera dell’efficienza (soprattutto per noi donne) ora inizia ad essere visto come qualcosa da evitare. Ci porta ad essere malati. E la malattia si chiama “sindrome da incapacità di concentrazione”.
Come si può evitare di ammalarsi, o iniziare a guarire (per chi è già contaminato dal social virus…)
La tavola è il luogo della condivisione – su questo tema siamo tutti d’accordo, ed è così da molto tempo. Quando non c’era la televisione, quando la conversazione era la principale fonte di intrattenimento, il tempo dedicato ai pasti era anche il tempo dedicato alla condivisione delle esperienze quotidiane dei commensali. Al di là delle divisioni sociali, che prima erano anche barriere, la tavola era qualcosa che accomunava tutti – in modo diverso – attraverso il racconto della vita. A tavola si sono svolte molte delle trattative cruciali di ogni famiglia, di molti Paesi. Che si trattasse di dare in sposa una figlia ad un pretendente che ne aveva chiesto la mano, o di decidere l’unione di due nazioni in una strategia commerciale, intorno alla tavola, e in cucina, sono stati fatti molti passi importanti per l’individuo, per l’umanità, per i Paesi.
Se apparecchi la tavola, prepari il tuo cibo in casa e lo offri alla tua famiglia in un ambiente dove prevale la conversazione, compi il miglior gesto di prevenzione affinché la tua famiglia non sia afflitta dalla sindrome. Niente tv, niente telefoni o messaggi, per 45 minuti. Si può?
Sono la prima a dover (voler) mettere in una giornata tante cose, a volte troppe rispetto a quelle che si potrebbero umanamente sopportare. Ma ho una regola: non faccio mai più di una cosa alla volta nello stesso momento (metto le azioni in sequenza rapida, certo) e porto sempre a termine un’azione prima di iniziarne un’altra. Infine, mi salvo con la mia terapia personale: cucinare e apparecchiare per la mia famiglia, ogni giorno. È un momento tutto mio, nel quale lascio da parte ogni pensiero per concentrarmi sui sapori, sulle cotture, gli abbinamenti. Scelgo una tovaglia e ci metto sopra i piatti e i bicchieri abbinandoli tra loro – a volte sono sempre gli stessi, a volte mi va di dare alla tavola quel tocco in più. Scelgo gli ingredienti e li vivo in un’esperienza sensoriale che mi permette di staccare la testa da tutto il resto, concentrandomi solo su di loro. E poi mi concedo 30 – 45 minuti di buona tavola con la mia famiglia, per raccontarci quello che è successo nella giornata, e quello che vogliamo fare del domani. Niente televisione, niente telefoni, niente Internet. Solo noi, i nostri pensieri, le nostre parole. È molto rilassante, mi permette di sciogliere i nodi della tensione che si formano durante la giornata e di predispormi ad una notte più serena.
Cucinare e apparecchiare, mangiare condividendo emozioni e pensieri diventano quindi gesti che ci possono aiutare a stare in salute più a lungo. Sicuri? Sì, non solo perché lo dicono i medici, e neanche perché Martha Stewart ha scritto un libro sull’argomento (Living the good long life, ed. C. Potter) ma soprattutto perché se provate a farlo anche solo per una settimana, ne sperimenterete i vantaggi.
Mi sono chiesta – ma come faccio a sapere se ho questa sindrome, o se qualcuno dei miei cari ce l’ha? La risposta è semplice. Va cercata nel rapporto con le immagini e i messaggi. Inizia ad essere afflitto da questa sindrome chi non è in grado di non guardare un messaggio nel telefonino quando mangia, o quando sta parlando con qualcuno. Se sente l’urgenza di rispondere (e magari sta guardando un social media) la sua situazione è cronica. Se quando mangiate lo fate in silenzio e consultate le notizie su un tablet, ne siete afflitti. Se vostro figlio non è in grado di ascoltare un discorso per più di 15 – 30 secondi, ma può giocare con un gioco digitale per molti minuti senza staccarsi, ne è afflitto. Non è nulla di grave, ma può portare a perdersi la parte più bella della vita. Ed essere molto stressati. E lo stress, si sa, è la più brutta parte di ogni inizio di malattia.
La cura? L’avete in mano voi. Una pentola, un piatto, qualche ingrediente fresco e un po’ di fantasia. Fatemi sapere cosa ne pensate…