Ogni volta che passo qualche giorno in Toscana, con mio marito e i miei figli, è come bere da una magica fonte vitale. Mi basta arrivare con il treno a Firenze, o varcare l’Appennino in auto per sentire riaccendersi la fiamma che ho dentro e che brucia in questa terra. Non so se i miei bambini riusciranno a sentirla, quella piccola parte di sangue toscano che hanno nelle vene. Per me è un nodo ancestrale che è maturato nel tempo, come un vino rosso nella botte, e che ora è pronto a sedurre con il suo profumo chiunque si appresti a berlo. Sta nel colore intenso del Brunello di Montalcino, nell’aroma dei porcini appena raccolti. Nel calore della legna che arde in un camino. Nelle chiacchiere delle donne fuori dalla chiesa, la domenica.
Sono cresciuta in una famiglia matriarcale di origine toscana. Mio nonno Alessandro, capostipite di noi tutti, come ama definirsi quando si accorge che non gli diamo abbastanza retta, faceva capolino all’ora dei pasti e per portarci a spasso. Mio padre se n’era andato diversi anni prima attratto da altre questioni che non avevano a che fare con noi, ma a quel tempo francamente non ci badavo più di tanto. Il mio mondo era fatto di donne e nutrito da donne. In questo universo femminile, tuttavia, non c’era molto spazio per l’eleganza e la delicatezza con la quale avrei poi deciso di riempire la mia vita dopo diversi lustri di brusca realtà. C’era amore – certo – ma un tipo di amore fatto di pane senza sale e castagnaccio ai pinoli, più che di dolci ripieni di crema. C’era una grande saggezza – quella delle cose pratiche e contadine che mia nonna aveva imparato alla nascita e che le era tornata utile per tirar su due figli durante la guerra. E c’era il cibo: semplice e buono, quotidianamente distribuito nelle diverse fasce orarie dalla colazione alla cena, tutto preparato in casa e accompagnato da un fiume interminabile di parole durante la preparazione, con quella cadenza toscana che è sempre stata di casa per me.
Trovo che la cucina e la letteratura abbiano molto in comune: ciò che hai letto forma la tua testa e influenza il tuo scrivere; ciò che hai mangiato forma il tuo palato e influenza il cucinare.
In quegli anni la vita scorreva lenta e piacevole e tutto pareva essere come avrebbe dovuto. Mia nonna aveva un rimedio e una ricetta per ogni cosa: nulla era scritto, tutto stava nella memoria. Da come preparare il coniglio con le olive a quanto lasciar bollire i vasetti di pelati fatti con i pomodori del contadino. La più terribile delle disgrazie era la grandine, che rovinava i frutti teneri dell’orto, e il riposo era quello tra il desinare e la cena, spesso passato sull’uscio di casa a sgranare piselli, rammendare o fare presine all’uncinetto, insieme alle altre donne della via.
La felicità è la campagna, insieme alla mia famiglia.
La mia vita era scandita dalle stagioni e, appena giugno svoltava sul calendario, la Toscana compariva all’orizzonte con i suoi tratti tipici: colline punteggiate da balle di fieno e bordate di lunghi filari di cipressi. I pini marittimi protesi nelle loro abnormi ramificazioni ricurve verso il mare e gli scogli. E poi le vigne: ovunque, a perdita d’occhio, ordinate e ubbidienti in fila lungo la terra scoscesa.
Per raggiungere la casa dei nonni, abbarbicata nella località Molino a vento di Rosignano Marittimo, da Milano ci volevano quasi quattro ore di macchina. La nonna Irma ci aspettava affacciata al davanzale della cucina: non importa a che ora saremmo arrivate, lei sarebbe stata lì. Un occhio alla stufa e uno alla strada, per poi venirci incontro davanti a casa con le ciabatte sui ciottoli. Intorno a lei ruotava tutto ciò che poteva succedere: da quello che avremmo mangiato a ciò che avremmo fatto. Era lei che si alzava per prima nel mio mondo matriarcale, e non ricordo mattina in cui arrivando in cucina con gli occhi ancora stropicciati dal sonno io non l’abbia trovata con il grembiule intenta a fare qualcosa vicino all’acquaio. Il grembiule in vita e il mestolo di legno in mano sono due cose che ho ereditato da lei, e che mi auguro un giorno di riuscire a passare a mia figlia. Insieme a queste ricette, il mio omaggio sincero alla cucina toscana autentica di mia nonna. Se chiudo gli occhi mi sembra di sentire ancora la sua voce pervadere la casa “A tavola, è pronto!”.