Mi sono svegliata tardi. Anche oggi. Del resto è una settimana che non si riesce a dormire (bambini malati…) e stamattina alle 9:00, raggiungendo la mia cucina in vestaglia, con l’idea di un caffè lungo, anzi lunghissimo, immersa nel silenzio della domenica, mi sono ricordata che mercoledì era arrivato l’ultimo libro di Edd Kimber (ve lo ricordate? Il mio collega inglese con cui lavoro per Kitchen Aid.Soprannome: The boy who Bakes. Diventato famoso con Bake Off UK).
Patisserie Made Simple è un bellissimo libro. Non solo ci sono dentro tutte le ricette che ho studiato a Parigi, ma sono eseguite e spiegate in maniera davvero facile – mi piacerebbe che fosse tradotto in italiano. Così, con il caffè in una mano e il libro nell’altra, ho sfogliato le pagine del libro e rimescolato in me i ricordi di quel bellissimo periodo a Parigi. Ormai sono passati 13 anni dalla mia estate laggiù (il racconto completo è sul mio libro Csaba bon marché) ma ogni volta che faccio i bigné non posso che rivivere in modo avido e davvero genuino quei momenti, al contempo bellissimi e molto faticosi. La ricetta dei bigné tredici anni dopo mi viene al primo colpo, ma anche per me – all’inizio – non è stato così. Quindi, se cercate un’ispirazione per la vostra domenica pomeriggio (o per un giorno qualsiasi della settimana) partite dalla ricetta dei bigné e aprite le finestre della vostra cucina su Parigi! Funziona, posso garantirvelo. Volete provare? La ricetta di Edd Kimber è qui, nelle ricette di base. Qui sotto invece vi trascrivo l’apertura del capitolo 1 di Csaba bon Marché. Buona domenica!
Bonjour Paris! Sono arrivata a Parigi il 23 di luglio del 2003. Pioveva forte, ma era tutt’altro che freddo. Il taxi mi lasciò a due metri dal portone del delizioso appartamento che avevo affittato per il periodo della scuola, così il mio primo incontro con quella che sarebbe diventata la mia nuova vita fu lì, davanti al civico 176 di Rue de Grenelle, gli occhi bagnati di gioia verso l’alto e i piedi zuppi accanto a tre immense valigie, nelle quali avevo messo tutti gli affetti che in quel momento erano il centro della mia vita. Dietro di me sentivo il peso di uno dei periodi più brutti e angoscianti della mia esistenza, sospeso in un senso di vuoto lasciato da una separazione troppo dolorosa. Davanti a me c’erano la speranza e il desiderio di una vita nuova, che avrei dovuto costruire con fatica, lungo una strada sconosciuta e affascinante. Avrei frequentato la prestigiosissima scuola Le Cordon Bleu e passato il diploma finale. Avrei unito le mie due più grandi passioni, scrivere e cucinare e cambiato lavoro. Avrei portato in Italia i libri meravigliosi che sino a quel giorno si potevano leggere solo in inglese. Iniziato a lavorare con persone piene di talento, la cui energia e la cui bravura avrebbero trascinato e nutrito la mia visione. Desideravo di poter incontrare l’uomo giusto e metter su famiglia, perché senza un marito e dei figli sui quali riversare tutto l’amore che sentivo di avere dentro il mio progetto di vita sarebbe rimasto monco della sua parte più importante. Non avevo idea di come avrei potuto far avverare questi sogni, ma quando richiusi la porta di quel piccolo appartamento dietro di me, bagnata fradicia e sudata per l’aver trascinato ogni valigia a piedi su per le tre rampe di scale ripide e alte come solo quelle parigine sanno essere, misi sul tavolo la mia statuina della Madonna e la guardai. In qualche modo, ce l’avrei fatta. Avrei dovuto fare fatica, ma non ero spaventata.
Guardai fuori dalla finestra, la punta della Tour Eiffel spuntava a destra tra le righe di pioggia. L’aria profumava di formaggio. Ero a Parigi, e stava per iniziare qualcosa che in soli dieci anni avrebbe totalmente rivoluzionato la mia vita.