È una certezza alla quale facciamo fatica ad abituarci, ma il tempo è democratico e passa per tutti allo stesso passo. Anno dopo anno, la vita sboccia, matura, si evolve, muta e – purtroppo – a un tratto si interrompe, seguendo un ciclo che è uguale per tutti e al tempo stesso unico per ciascuno. Ad alcuni l’idea di invecchiare fa paura. Ad altri risulta una condizione tanto inaccettabile da far ricorso ad ogni mezzo pur di contrastarla, nell’affannoso tentativo di arrestarla, che è ovviamente al di fuori della portata umana, e ci trasforma – spesso a nostra insaputa – in grottesche caricature di noi stessi. L’idea di diventare vecchia non mi spaventa, mi turba piuttosto a volte maggiormente l’idea contraria, ossia quella di non riuscire a vedere me stessa dentro un corpo totalmente appassito nella forma, perché significherebbe che non sono riuscita ad andare così lontana.
Quando penso alla distanza che ho percorso, adesso che dovrei essere (almeno secondo le statistiche correnti) nel mezzo del cammin della mia vita, non vedo grandi cose fatte e finite da mettere in fila sul foglio, ma piuttosto una strada ancora molto migliorabile, un edificio da completare, un disegno i cui tratti a matita sono ben fissati sulla carta, ma i colori ancora tutti da scegliere. Poi guardo meglio e vedo che nei tratti qualcosa c’è. Forse non esattamente come lo avrei voluto, ma comunque presente. È la somma delle azioni che ho compito, che hanno generato effetti che hanno contribuito a dare forma alla mia vita. Non tutti sono stati effetti positivi, anzi. Alcuni sono stati dolorosi sbagli, ma voglio pensare di aver imparato da questi, e di avere da imparare ancora da altri che arriveranno sulla mia strada. Altri invece sono stati atti di coraggio (o follia?) che hanno premiato la mia avventata decisione di lasciarmi andare lungo il fiume della vita… Decidere di mantenermi scrivendo. Sposarmi con una persona alla quale vorrei stare accanto davvero tutta la vita. Accettare l’arrivo di due figli come il più meraviglioso (e faticoso) dei doni, ma anche la più elevata responsabilità. Accettare il mio corpo così com’è e fare di tutto per mantenerlo in forma.
Non è facile mettere in prospettiva il passato – a volte nel cercare di farlo i contorni si fanno sfocati, e la battaglia razionale è persa contro quella dell’emozione, che rimette in giro i pezzi riordinandoli secondo un criterio più astratto, guidato dai ricordi e non dai fatti.
Quindici anni fa nasceva Good Living – era la tarda primavera del 2001. New York aveva ancora le due Twin Towers davanti a sé, la nostra redazione era un fermento di idee, bozze, impaginati e prove di copertina di quella che voleva essere – per noi, per me – la prima rivista italiana dedicata allo stile di vita sano e attivo. In quell’attività estenuante e frenetica che è mettere insieme un giornale, si fondevano allora come oggi momenti di grande stanchezza a momenti di euforia. Nascevano idee e morivano pagine tagliate fuori alla seconda lettura. A sovrastare su tutto era, semplicemente, il desiderio di fare. Un giornale dedicato alle donne, che non parlasse di moda, ma di sostanza. Che regalasse un momento di lettura che potesse diventare un approfondimento. Tante ricette da mettere in pratica, le opinioni dei collaboratori, i consigli per la gestione della casa e – soprattutto – quelli per vivere meglio. Quando ho scelto il nome “good living” mi auguravo proprio che potesse portare nelle case dei nostri lettori il “vivere bene”. I tanti messaggi che ho ricevuto in questi anni – e il numero di copie vendute ogni volta – mi hanno dato la certezza di aver fatto bene quello che per me era un lavoro importante: guadagnarmi la vostra fiducia e tenerla con me senza deludervi. Sono stati quindici anni intensi. Mi auguro che saremo insieme tra queste pagine ancora per molti anni a venire. In buona salute, seguendo lo stile di vita del vivere bene. Felici dei nostri piccoli passi, che ci hanno portato sin qui.
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