Lo avrete notato anche voi – ovunque ci si giri, le aziende alimentari stanno iniziando a pubblicizzare il prodotto “integrale” come migliore, più sano, ma anche e soprattutto “buono”. Certo, meglio tardi che mai a me sembra un po’ la scoperta dell’acqua calda) tuttavia le ragioni di questo comportamento sono molto serie e ho pensato che fosse carino trattare il tema nel prossimo numero di Good Living.
Sono nata all’inizio degli anni ’70, per me è stato del tutto normale dunque associare sin dall’adolescenza il concetto di “integrale” a un sapore arido di crusca e farina polverosa, generalmente usata per produrre panini sempre troppo duri e biscotti sempre troppo stopposi: difficili da mandar giù, se non intrisi di un liquido che riuscisse al tempo stesso a dar loro una consistenza masticabile e un vago sapore. Il cibo sano doveva far bene all’organismo, non allettare il palato. Sano non poteva essere anche buono. E viceversa.
Integrale diventò ben presto sinonimo di dietetico, più che di sano – ma erano i giorni della macrobiotica e la dieta – correvano i mitici anni ’80 – una moderna forma di tortura che le donne si autoinfliggevano contando calorie e buttando giù crusca a cucchiate negli yogurt, sempre più magri e sempre più acidi. Se era cattivo, faceva bene: un’equazione sadica quanto errata. Alzi la mano chi non l’ha provato – io l’ho fatto e ringrazio davvero che sia durata poco. Per fortuna, oggi non è più così e l’idea di mangiare in modo sano, utilizzando prodotti integrali, non esclude l’esperienza gourmande legata alla preparazione di ricette che sono sempre più golose, meravigliosamente stagionali e profumate.
Il nuovo concetto di integrale è quello che ha rimesso le cose al loro giusto posto. Non prodotti manipolati dall’industria per essere alleggeriti dai grassi e gonfiati di fibre, ma semplicemente ingredienti veri, genuini, che oggi possiamo portare in tavola praticamente nella loro forma autentica, molto vicina a quella che avevano un paio di migliaia di anni fa: in grado di promuovere la salute della specie umana al punto di farci arrivare sin qui attraverso un’evoluzione che non ha eguali nel mondo animale.
Sul concetto di “integrale” tuttavia oggi c’è un po’ di confusione. Anche solo partendo dalla farina (che è uno dei prodotti maggiormente pubblicizzati come integrali insieme allo zucchero e all’olio di oliva extravergine), la nostra Legge prevede che possano essere etichettate come integrali farine raffinate alle quali poi viene messa di nuovo la crusca. E che lo zucchero scuro possa essere reso simile (e confuso quindi) a quello integrale dalla semplice dicitura “di canna”. Quindi bisogna sicuramente leggere attentamente, conoscere, ma anche fidarsi del produttore, e scegliere laddove possibile aziende serie (ce ne sono tantissime) che scrivano in modo corretto le proprie etichette.
Per riconoscere il cibo integrale si parte dal leggere l’etichetta (o il nome sulla confezione) ma non è sufficiente: occorre verificare la lista completa degli ingredienti. Il cibo integrale ha un solo ingrediente nella sua lista: se stesso. Non ha subito né alleggerimenti né manipolazioni. Il miele, ad esempio, è integrale quando è vergine, non scaldato, né addizionato o mescolato con altre sostanze: semplicemente messo in un vasetto così come prodotto dalle api.
Nella loro forma originale e autentica, i cibi integrali contengono molta più energia rispetto ai loro corrispettivi raffinati. Dal punto di vista nutrizionale le differenze non sono così marcate – ma il livello di energia è completamente diverso.
Perché, in sintesi, mangiare integrale è meglio per noi? Per diversi fattori: il primo è quello della salute, ma il secondo è senza dubbio quello del gusto. Se il prodotto integrale poi è biologico (realmente coltivato senza impiego di fertilizzanti chimici e pesticidi) ancora meglio. L’integrale è buono per il nostro corpo perché sprigiona una carica energetica superiore, che è in grado di farci affrontare meglio la giornata: energia rilasciata in modo lento (non immediato) e quindi in grado di tenere sotto controllo anche la fame fuori pasto. È più buono dal punto di vista del gusto perché non deve rinunciare alle sue parti: dal seme al frutto, un prodotto che si definisce integrale, e quindi “intero” ha un sapore più complesso e strutturato, ricco di sfumature, che la cucina contemporanea ha imparato a sottolineare, con ricette tutt’altro che banali e assolutamente non punitive. Lontano anni luce dal suo predecessore più famoso – il piatto macrobiotico – il cibo integrale si sta lentamente guadagnando la strada verso un ritorno al passato, che rappresenta tuttavia l’unico modo per procedere avanti: a tavola come in molti altri settore. Dalla farina al miele, l’olio d’oliva, il riso, il sale o lo zucchero: gli ingredienti che possiamo scegliere ogni giorno nella versione integrale sono davvero moltissimi. Voi quali utilizzate già, e quali vorreste provare?