Questa Pasqua sarà diversa. Così come lo è stata, sin qui, la primavera, arrivata all’improvviso fuori dal vetro delle nostre stanze, e propagatasi tra le strade vuote e silenziose, felice di essere indisturbata. Dopo trenta giorni di vita custoditi in casa, e senza ancora possibilità alcuna di vedere qualcosa che sia più di una luce in fondo al tunnel, penso sia il momento di ammettere che ci stiamo, in parte, abituando a un nuovo modo di organizzare le nostre giornate.
In questo momento preciso in cui scrivo sono le tre di venerdì 10 aprile. A Milano c’è un sole caldo che mi batte sulle spalle, mentre scrivo digitando sui tasti del mio computer portatile, sistemato su uno dei tavoli in legno che abbiamo in terrazza. La mia gatta, sdraiata sulla sedia opposta alla mia, riposa con un occhio chiuso e uno aperto, e ancora si chiede a cosa si debba tutto questo silenzio che inonda la città. Dalla porta finestra che dà sulla cucina esce il profumo del pane mescolato a quello della torta di mele che ho preparato stamattina per Pietro, l’ortolano che lavora all’angolo con casa mia. No, non è un venerdì come tanti e non assomiglia affatto a quello della foto che ho scelto per questo post [è stata scatattata in Umbria un po’ di tempo fa].
Stamattina (dopo cinque settimane di assenza) sono tornata a trasmettere in diretta su RMC insieme a Max Venegoni e Rosaria Renna. Ma anziché incontrarci tutti nello studio, la tecnologia ci ha unito a distanza, ciascun o dalla propria casa. Non faccio una valigia da un mese, e sono molto contenta di questa imminente Pasqua, anche se a porte chiuse.
Lo ammetto, mi vergogno un po’ a dirlo, ma questo stop globale, sin qui, a me ha fatto bene. Non fraintendetemi per favore – non sto dicendo che quello che è successo sia positivo. Non lo penso. Anzi, mi fa rabbia vedere come scelte sbagliate e superficialità stiano mettendo in ginocchio un Paese vivo come l’Italia (e molte altre nazioni con la nostra). Provo dolore al pensiero di tutte quelle famiglie che hanno perso una persona cara, o che passeranno la Pasqua pregando che dalla rianimazione dell’ospedale non arrivi una brutta telefonata. Non posso neanche dirvi che è bellissimo vedere le città vuote, il cielo azzurro, e la natura che ci guarda esterrefatta e cosciente di essere riuscita, per la prima volta, a dare scacco matto all’umanità. Lo sarebbe se dietro ci fosse una scelta. Ma sappiamo tutti che non è così.
Nonostante tutto, sto bene. E sono sicura che molti di voi, leggendo queste mie parole, in fondo provano la stessa sensazione. Quel calore colmo di gratitudine che senti quando guardi impotente la sofferenza negli occhi dell’altro, e ti accorgi che tutta la tua banale normalità è semplicemente un dono. Grande, prezioso, da tenere vicino con estrema cura. E smetti di lamentarti, iniziando a sentirtio grato e privilegiato per quella vita che sino a ieri ti sembrava solo in salita.
Ma il motivo per cui sto bene, è anche un altro. In realtà è da molti mesi avrei desiderato fermarmi un po’, ma non ne avevo avuto l’opportunità, o forse il coraggio. Se mi fossi fermata solo io avrei visto il mondo sorpassarmi con la sua fretta boriosa, scalzarmi al margine delle opportunità professionali, e anche dei party, degli eventi, di tutte quelle “cose importanti” che pensavo fossero importanti, ma in fondo non lo sono poi davvero. Fermandosi il mondo intero, la corsa si è arrestata. E tutto a un tratto non c’è più nulla al momento che abbia l’autorizzazione a superare. O almeno così sembra. perchè si tratta di un fermo apparente. Fisico, non mentale. Burocratico, non strategico.
Mentre sono felice di essere a casa con i miei figli da 35 giorni esatti, sono angosciata dal sapere che alcuni genitori non hanno potuto salutare i propri figli nel momento in cui se ne sono andati. Questo aspetto della morte per me è insostenibile. Mi genera angoscia e terrore notturno, e nessuna tra le preghiere che mando ogni sera in una certa direzione mi può far sentire meglio.
Tornando a Pasqua, alcuni si sono chiesti se valga la pena celebrarla. Apparecchiare la tavola e decorarla con le uova colorate. Cercare leggerezza nella rinascita. Io sono sicura di sì. Anche se non si potrà andare al ristorante, al mare o a fare una scampagnata con gli amici. Potremo imbandire la nostra tavola con quello che di meglio abbiamo, stirare una tovaglia per l’occasione, fare una torta al cioccolato, sederci insieme alla nostra famiglia (almeno la parte più stretta) e rallegrarci del fatto che siamo qui. In questa nuova normalità, di cui abbiamo davvero bisogno.
Tra le nostre nuove abitudini, quella che più delle altre ci renderà migliori non sarà certo l’abituarsi a fare la fila ordinatamente (cosa che abbiamo dimostrato di essere capaci di fare) né uscire con la mascherina. La nuova abitudine alla quale dobbiamo fare tutti spazio nella nostra giornata è vivere con meno. Meno consumo. Meno lavoro, forse (almeno per alcuni). Meno pretese, meno desiderio di un’erba verde più di quella del vicino.
Io non lo so se ne sarò capace. Penso di sì, ma non mi azzardo a dirlo sino a che non lo avrò dimostrato. Nel libro che sto finendo di leggere ora (Chasing Slow, di Erin Lochner) c’è una frase bellissima che mi sono appuntata al margine della pagina. “è ora di aver bisogno di meno”.
Buona Pasqua. E buona rinascita, in un mondo che avrà bisogno di tutto il nostro orgoglio, del nostro lavoro e del nostro coraggio per risorgere meglio di quello che abbiamo abbandonato cinque settimane fa. Iniziate a coltivare oggi la vostra nuova normalità. Se lo faremo tutti con nuove buone abitudini, ci daranno il passo per un nuovo futuro. Ne sono certa. Auguri, a voi e alle vostre famiglie, al sicuro nelle vostre case.