Lo scrivo subito, così volendo – potete decidere di non andare oltre: non sono una di quelle cuoche che non vi daranno la ricetta, perché la considerano segreta e di loro invenzione. Non invento ricette: creo uno stile di vita che ruota intorno alla tavola. Caldo, familiare, bello da guardare e da vivere: autentico come le persone che leggono i miei ibri e continuano ad acquistarli, da anni, con una fedeltà che spesso mi commuove. Da piccola sognavo di scrivere romanzi (un paio, a dire il vero, li ho anche scritti e sono in un cassetto, come capita ai più…). Poi ho capito che nella vita la gavetta è importante per godersi il risultato finale e ho iniziato a scrivere per le aziende (ufficio stampa, n.d.a.). Quello che scrivevo piaceva, quindi nel week end spesso scrivevo per me.
Dopo diversi anni è arrivato il coraggio di iniziare a fare qualcosa che mi portasse ad essere ciò che a 30 anni sognavo di diventare: una foodwriter capace di scrivere non un libro, ma un’intera serie di libri. Non semplicemente ricette, ma racconti che potessero partire dalla vita, dalla casa, dalla cucina e arrivare al cuore degli altri. Con un obiettivo: ispirare i lettori e dare a tutti la convinzione, non solo la speranza, di potercela fare. In casa, in cucina, in famiglia, nel lavoro… nella vita.
Non ho mai pensato di poter scoprire la ricetta segreta della lasagna perfetta. Però sono stata la prima in Italia a preparare una pavlova in tv. Non penso, neanche oggi (12 anni dopo la prima pavlova) di poter inventare ricette che rivoluzioneranno i sistemi di cottura, né di avventurarmi tra la chimica e la scienza per dare ai miei piatti una nota tanto diversa da passare alla storia. Però ho avuto l’umiltà, prima di iniziare a fare questo lavoro, di frequentare una scuola di cucina seria e di passarne l’esame finale.
Il mio obiettivo è cucinare cibo vero, fresco, che sia buono al palato e bello alla vista. Scrivere le mie ricette spiegandole in modo che risultino chiare e semplici da seguire. Realizzarle e poi farle fotografare in modo il più possibile immediato dopo la preparazione, affinché ogni preparazione abbia accanto un’immagine che il lettore possa cercare di imitare, o comunque sia utile per capire quale debba essere la riuscita del piatto.
Come nasce un libro di cucina? Tante volte mi è stato chiesto. Posso dire come nascono i miei (la lista di quelli pubblicati sino ad oggi la trovate qui).
Il tema e il titolo sono la prima cosa. E non sono casuali, perché sin dall’inizio ho sempre ragionato di 5 anni in 5 anni, preparando un piano editoriale che comprendesse i titoli che sarebbero usciti nei cinque anni a venire. In ogni momento so cosa ho fatto e cosa vorrei fare.
Il titolo e il tema racchiudono l’idea. Merry Christmas (2008) è stato il primo grande “tematico” – ancora oggi il mio libro che vende di più, con tutto quello che serve sapere, dal mio punto di vista, per preparare la casa al Natale, e le miei ricette preferite.
Una volta decisi tema e titolo, serve il piano editoriale del libro. Quanti capitoli avrà? Come si snoderanno? Quante ricette per ogni capitolo e con quale suddivisione? E soprattutto – chi sarà il fotografo? Perchè la mano del fotografo (o della fotografa) sarà importante quanto la mia per la buona riuscita del libro e… sì, da questo punto di vista sono viziata. Mi piace lavorare con una bella squadra! Inizia un periodo che generalmente dura un paio di mesi, durante i quali faccio ricerca & sviluppo e prendo appunti. Guardo che cosa esiste sul mercato di simile (o uguale) alla mia idea. Partecipo alle fiere di settore, vado in libreria in Italia, in Inghilterra, in Francia e ovunque io mi trovi anche solo per un giorno. Scandaglio i siti che vendono libri on line e acquisto titoli che finiscono nel mio reparto ricerca e sviluppo. Ne ho molti, quasi mille oggi. Sono parecchi – ma nulla rispetto al reparto ricerca & sviluppo che mi ha mostrato un paio di anni fa Nigella Lawson a casa sua (e, sono molto molto orgogliosa di dirlo, alcuni dei miei titoli erano lì… nel reparto cucina italiana). Dei libri che acquisto leggo le parti che mi interessano e provo alcune ricette. Insieme ai corsi di cucina che faccio all’estero (ora sto studiando cucina marocchina e libanese) le ricette che trovo sui libri di altri autori sono parte fondamentale dello studio prima di partire con il mio lavoro.
Un altro punto importante della ricerca e sviluppo, ovviamente, è l’assaggio di ricette preparate da altri: nei ristoranti, prevalentemente, a casa di amici a volte. Si parte da qui e poi si modifica sino ad ottenere ciò che si ritiene possa essere il punto di arrivo. Mangiando, leggendo, cucinando e sperimentando per circa altri 4 – 6 mesi prende forma l’elenco delle ricette che andranno a comporre il libro.
LA LISTA è sempre più ampia di quella che sarà poi la selezione finale. La scrivo in un file e la condivido dapprima con le mie collaboratrici più strette, poi con il fotografo che è stato scelto per il libro. La lista è più ampia perché alcune ricette non verranno belle come ci si aspetta all’inizio, altre magari saranno sacrificate per mancanza di ingredienti nella stagione giusta. Altre ancora, semplicemente, risulteranno essere ridondanti rispetto al testo. Circa il 30% delle ricette non arriverà al volume. Ma quelle che ci entreranno saranno le mie “best recipes” come mi piace chiamarle. Tutte cucinate e fotografate in tempo “reale” da me.
Una volta creata la lista si decidono le location. Il libro prevede delle trasferte? Se sì, vanno pianificate, cercando le case giuste, di stagione in stagione. Around Florence ha richiesto 7 viaggi diversi per essere portato a termine. Nell’arco di 15 mesi. Tea Time invece è stato scattato tutto a casa mia, in varie giornate sparse in un quadrimestre. Ogni libro ha una sua storia e una sua tempistica… Sei mesi se siamo molto molto veloci. Un anno abbondante quando invece ci si impiega di più.
Chi fa la spesa? Chi decide come si presenterà nel piatto ciascuna ricetta? Chi le cucina e chi le scrive? Io, ovviamente.
Mi piace fare a food stylist di me stessa, quindi vado personalmente a fare la spesa, scelgo una per una le posate, i piatti, i bicchieri, i fondi e le stoffe che saranno inclusi in ciascuna foto. Una props stylist professionista (oppure una collaboratrice) mi aiuta a raccogliere tutto il materiale che serve, facendo proposte di abbinamenti e andando a scovare oggetti particolari da mescolare a quelli che raccolgo io per mercatini. Anche chi fotografa, ovviamente, dice la sua sul set. E l’opinione del fotografo, per me, è fondamentale, perché lavoro con persone che stimo per il loro talento e alle quali non vorrei mai davvero imporre solo la mia idea.
Terminata la scelta degli oggetti (che si chiamano appunto props) arriva il giorno 1. Quello dello scatto del “mood board” del libro. Questa prima giornata di lavoro di solito serve per fare 10 – 12 foto diverse, che guarderemo per capire se tutto funziona secondo le aspettative del team, che a questo punto include oltre a me anche fotografo e stylist. Con queste foto si crea spesso quello che chiamiamo il primo “dummy book” ossia un impaginato di 12 – 20 pagine con testi fittizi, che mostriamo a persone la cui opinione possa influenzare il risultato finale. Va sempre bene? No, anzi! A volte il libro finito è praticamente figlio unico di questo lavoro di prova. A volte invece non ne è stato neanche parente… Mettersi in discussione è tutto. E si fa con professionalità, fatica, orgoglio.
Determinati i parametri del libro, si parte. Le giornate di lavoro variano a seconda del numero delle pagine e delle ricette – 6 sono il minimo che ho impiegato, 12 il massimo. Ma non sono mai consecutive, perché dobbiamo spesso attendere che “la stagione dia i suoi frutti…”
Quando siamo in trasferta si scattano foto al paesaggio, alle case, alle persone, a me e anche qualche ricetta. Quando si lavora sul set (a casa mia) si scattano invece generalmente solo ricette.
Terminate le fotografie, arriva il bello. Quello che io chiamo “il puzzle”. Le foto vanno scelte (solo i due terzi di quelle scattate e buone andrà poi nel libro spesso). Vengono quindi consegnate e stampate come tante figurine. Con le figurine si compone l’impaginato, distendendo su un enorme tavolo (all’inizio) e per terra (a un certo punto) tutte le immagini. Il lavoro di scelta lo faccio di persona, aiutata da un art director che – se il libro apre una collana nuova – sceglie e propone anche caratteri e pagine tipo di testo e ricette. Il puzzle prende circa 2 – 3 settimane e viene discusso anche con il fotografo. A mano a mano che si scelgono le foto si mettono nell’impaginato usando il computer e si stampano le “miniature” ossia fogli sui quali ciascun capitolo è stampato a figurine, per vedere la sequenza tutta insieme. Ogni giorno porto a casa la miniatura e la riporto la mattina dopo con commenti, variazioni, cancellature, inserimenti. La messa a punto della miniatura dura circa 9 giorni per un libro di 200 pagine, 15 giorni per uno più grande.
Quando la miniatura è completa, si ha “il colore in bozza” ossia una struttura quasi fedele del libro finale. Mancano, però, ancora tutti i testi. Inizio dunque a scrivere il libro e procedo di capitolo in capitolo, seguendo l’ordine del libro, per facilitare la narrazione. È un lavoro complesso perché oltre alle ricette (che riscrivo usando gli appunti presi durante la preparazione di ciascuna sul set) ci sono tutte le parti di raccordo e i racconti. Impiego 2 giornate di lavoro per un capitolo medio. Nella prima scrivo il testo narrativo e una parte delle ricette. Nella seconda giornata termino le ricette, se necessario, e poi aggiusto l’impaginazione con chi segue la grafica, perché non sempre il testo risulta essere, nella versione definitiva, lungo quanto mi aspettavo che fosse all’inizio. Allungare, tagliare e didascalizzare sono un’altra parte del lavoro.
Dunque, finito questo lavoro, il libro va in revisione. Lo si rilegge, si fanno indice e sommario, si mettono a misura dorso e copertina… il lavoro passa all’Editore, che chiuderà tutto per la stampa. Il giorno in cui si “licenzia la cianografica” (tecnicamente: si appone il visto si stampi su una prima stampa digitale fornita come prova) il dado è tratto. Non resta che aspettare la prima copia… e poi sapere cosa ne pensate voi.
Ecco, questo è il lavoro che sta dietro ogni mio libro. Ecco perché non posso chiamarlo solo ricettario – mi sembrerebbe di sminuirlo nell’aspettativa. Perché mentre cucino, scelgo, cambio, scrivo e cancello, è come se i vostri occhi mi seguissero tutti. È come se le vostre voci mi mandassero commenti senza sosta. È un lavoro estenuante e meraviglioso, che adoro condividere con voi ogni volta. Anche adesso, che sto per incominciare a lavorare al prossimo titolo.
Continuate a seguire….