Il 19 febbraio è iniziato l’anno della capra, secondo l’oroscopo cinese – ma quest’anno non sono riuscita a festeggiare. Sono entrata nell’anno nuovo scossa da una sofferenza di quelle che ti fanno crescere, anche quando sei già adulta da un pezzo, e pensi di saper affrontare ogni cosa. Sono stata qualche giorno senza poter dormire serena, senza sentire il sapore di ciò che mangiavo, senza aver voglia di cucinare. Svuotata di ogni energia fisica e mentale e con in testa una cosa sola: la vita di una ragazza un po’ più giovane di me, compagna di lavoro conosciuta quasi vent’anni fa, finita in un solo istante. Una donna separata dal destino in modo improvviso dai suoi affetti più cari, da due bambini piccoli, da un compagno innamorato, da tante – tantissime – persone che le volevano bene. Sebbene la fede aiuti a superare ogni momento, in alcuni casi devo ammettere che la mia vacilla. Ha bisogno di sostegno, profondo, radicato – di quella forza alla quale ti aggrappi quando la mente continua a pensare che ciò che accade non è reale, ma frutto dell’immaginazione. Ovviamente sai bene che non è così. E superare il dolore implica prima bere tutto l’amaro che porta con sé il distacco. Poi affidarsi alla preghiera e avere la certezza incrollabile che tutto andrà avanti, secondo un disegno più ampio di noi, magari apparentemente non giusto, ma fermo.
Ho realizzato che il capodanno cinese era passato nei giorni successivi, uscendo dal mio torpore psicologico un po’ alla volta. Mi sono data alle cose pratiche – avere le mani indaffarate, da sempre, libera la mente. Siccome in questi giorni sto inscatolando buona parte di ciò che ho accumulato negli ultimi dieci anni di lavoro in vista del trasloco dal luogo nel quale ho lavorato a lungo, è normale che siano venute fuori cose che non vedevo da molto, e che mi hanno portato indietro in un viaggio nel tempo. È così che mi sono resa conto, all’improvviso, che a febbraio del 2003, l’ultima volta che la capra aveva segnato l’anno cinese, mi trovavo a Parigi, per fare domanda di iscrizione a Le Cordon Bleu, senza avere la minima certezza di ciò che sarebbe successo, ma solo l’idea o l’intuizione di ciò che avrei voluto potesse accadere.
L’anno della capra – almeno per me – è l’anno delle grandi svolte. Era stato così anche dodici anni prima, nel 1991. Sarà così anche quest’anno, non serve averne certezza, lo so e basta. Affinché accada, occorrerà rimboccarsi le maniche e lavorare sodo, come ho sempre fatto. Sono felice di sapere che non mi spaventa e grata alla vita per essere in buona salute e piena di energia positiva. Due aspetti che contano, spesso, più del talento, poiché quest’ultimo fine a se stesso, se non riesci a incanalarlo in un processo metodico guidato dalla forza di volontà non porterà poi tanto lontano.
Passeggiando lungo rue de Rivoli a Parigi dodici anni fa uscivo da una profonda delusione personale e cercavo nella cucina il conforto quotidiano, in una nuova prospettiva di lavoro il segnale di quella che avrei voluto potesse essere la mia carriera. Accendendo la luce in cucina l’altra sera, annodando il grembiule nel solito modo e tirando fuori la padella nella quale avrei cotto il merluzzo pensavo la stessa cosa: il dolore che ti svuota crea uno spazio che poi sta a te colmare. La morte di un’amica giovane, improvvisamente, fa riflettere. Annienta la voglia di lamentarsi, ti fa amare la vita con uno slancio nuovo. Ecco il regalo che ha dato a ciascuno di noi questa tragedia improvvisa: la possibilità di fermarci. Di far entrare il dolore. Di capirlo, o almeno assorbirlo, per poi depurarci di nuovo e porci in modo diverso nei confronti delle cose di tutti i giorni. Si deve andare avanti con il desiderio di arrivare in un punto. Raggiungere un luogo, un progetto, un’idea. Lottare per arrivare, come se oggi fosse l’ultimo giorno.
Mi sono addormentata per una settimana pensando ai bambini lasciati senza la loro mamma. Alla prova di forza che la vita chiede loro adesso. E a chi li circonda. Ho pregato molto, perché questa è la sola cosa che possiamo fare a volte. Poi sono entrata in cucina, e ho preparato il merluzzo. E dopo una settimana ho sentito che il profumo della cucina aveva qualcosa da dire. Che il cibo mi piaceva ancora e che la sua preparazione è sempre una terapia. Ho fatto il pane integrale, e una crema pasticcera. Ho chiuso nel mio cuore i ricordi, non per scacciarli, bensì per custodirli. Poi ho terminato di preparare la cena e ho sistemato la cucina, spegnendo la luce usando lo stesso interruttore di sempre. Nei piccoli gesti sta la vita. Nei piccoli passi c’è il cammino. Nell’anno della capra, per me, sta la curva. Ora sono pronta ad andare avanti e scoprire cosa c’è dopo l’ultima svolta visibile della strada.
PS_ questa è la ricetta del merluzzo al lime con i porri (un classico, per me)